Dov’è la protesta, dov’è?

Questi sono giorni complicati per la Sardegna. Oggi i primi funerali a Olbia e notizie di amici che hanno perso tutto. Generale e spesso un po’ scomposta mobilitazione. Un sacco di solidarietà mista ad orgoglio indipendentista/sovranista… insomma, una situazione non facile. Le dichiarazioni di politici regionali, amministratori locali, protezione civile, meteorologi, geologi e continentali amanti della Sardegna si susseguono senza tregua su ogni medium disponibile. Quindi che ci sia un po’ di nervosismo, irritazione e sconcerto da queste parti è abbastanza comprensibile.

Poi stasera vedo in TV il sindaco di Terralba chiamato in trasmissione, chissà, forse di rimbalzo per un articolo del Corriere di oggi, a commentare i fatti dell’alluvione. A raccontare di come Terralba sia passata in un paio di giorni dalla tragedia, alla ricostruzione con grande coraggio e determinazione. Tanto di cappello ai cittadini di Terralba. Però poi mi sono ricordato di un bizzarro episodio di pochi mesi fa. Mi ricordo che a Terralba, c’era un tempo in cui impiccavano fantocci. Perché? Poveri fantocci, immolati alla protesta contro i vincoli che avrebbe dovuto imporre  allo “sviluppo del territorio”il Piano per le fasce fluviali, in quei giorni in discussione. Gli artefici dell’installazione artistica si raggruppano in un comitato spontaneo di cittadini che si oppone “con fermezza al piano delle fasce fluviali previsto dalla Regione e ai vincoli idrogeologici che limitano lo sviluppo del territorio (…) Questi pupazzi – continuano quelli del comitato – simboleggiano la morte a cui potrebbe andare incontro Terralba con tutte le sue attività economiche, non soltanto quelle edilizie (…) Con questi vincoli ci stanno condannando a morte. Tutte le attività rischiano di scomparire e non ci sarà uno sviluppo futuro per il nostro paese”. Il piano delle fasce fluviali fissa vincoli ben precisi sull’edilizia e sullo sviluppo del territorio”. Per questo il Comune decide di impugnare il piano per chiedere la riduzione dei vincoli sul territorio e il fattore di pericolosità idrogeologica.

Poi sempre questa sera vedo in TV un servizio su Olbia e mi torna in mente un altro bizzarro episodio di qualche anno fa. Allora era sindaco di Olbia, Settimo Nizzi. Il 15 dicembre 2004, il sindaco scrive una lettera al Procuratore della Republica dei Tempio Pausania, facendo notare al magistrato come “Il centro abitato di Olbia [sia] formato da una zona A e da alcune zone B che da tempo hanno esaurito la possibilità edificatoria. Da circa 15 anni in città è possibile edificare solo ed esclusivamente nelle cosiddette zone di risanamento (PRU), nelle zone C di completamento e nelle zone D di sviluppo artigianale e commerciale” e sottolineando come le nuove norme della legge regionale n.8/2004,  di “Promozione, salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale” vietino le possibilità edificatorie in tutte queste zone conducendo di fatto la nostra città ad una paralisi edilizia”. Continua la lettera, mettendo in evidenza come la comunità olbiese sia “tra le poche, in crescita demografica (aumenta di circa 1000 unità annue) in Sardegna ed in Italia; [induca] una consistente domanda potenziale di nuovi alloggi, che attualmente con il blocco, non è possibile soddisfare. Come ultimo dato non và dimenticato il fatto che Olbia è città turistica e di servizi e considerata di fatto la vera porta della Sardegna. Non ultimo – viene evocato un – grave pregiudizio economico finanziario, in quanto il Comune andrebbe a perdere circa due milioni di Euro di entrate Bucalossi ed ICI con le quali viene finanziata una parte significativa di spesa sociale.”.

Comunque, morale della favola, come si comprende da un comunicato dell’amministrazione, il sindaco decide di emanare una direttiva ai dirigenti comunali affinché questi continuino a rilasciare le autorizzazioni edilizie per evitare che come “è facilmente immaginabile [la legge regionale] penalizzi gravemente e, forse, irrimediabilmente l’economia locale con ripercussioni sull’occupazione diretta ed indiretta e con possibili effetti negativi anche sull’ordine pubblico”.

La nota al Procuratore di Tempio viene poi inoltrata al Presidente della Repubblica Ciampi, al Presidente del Consiglio Berlusconi, ai Presidenti di Camera e Senato, a quattro Ministri (Interni, Giustizia, Beni Culturali, Affari Regionali), al procuratore generale della Repubblica, al Procuratore Regionale della Corte dei Conti, al Vice Presidente della Commissione Europea Frattini e al presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso.

Leggo tutte queste cose e mi scoccio… parecchio. Scrivo poi un post su Facebook chiedendomi perché non ci sia in Sardegna un giornalista, almeno uno, cheinvece di invitarli a commentare i fatti in trasmissione,  vada a chiedere conto a questi e altri simili personaggi dei loro comportamenti, delle loro scelte politiche, degli effetti dei loro progetti urbanistici. Lo pubblico il post. Dopo un po’ mi arriva un commento dal Cile; è un amico giornalista che, un po’ scocciato anche lui, mi dice: “ma c’é la societá civile: nessuna organizzazione si sente in grado di chiedere pubblicamente che queste persone rendano conto del loro operato? Che trasformi questa richiesta in un documento e lo faccia circolare nelle reti social e nei media? Perché se si aspetta che lo faccia la stampa… Ma allora la societá civile a cosa serve?”

Ecco la società civile a che serve? Allora, posto che, come Albert Hirschman, credo che la società “non è civile in sé, ma lo può diventare grazie (…) all’esercizio della voice“, cioé della protesta, dov’è questa protesta? Dov’é?

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